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Informazione e Rai. Regime dei partiti. Il caso referendum
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Articolo di François-Marie Arouet
22 maggio 2022 10:15
 
La Rai, una delle maggiori strutture italiane del settore, è informazione e intrattenimento di Stato. La gestione è affidata al Parlamento - Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi - dove sono presenti i partiti di maggioranza e opposizione che si spartiscono tutto. E decidono cosa trasmettere o meno. Chi possiede un apparecchio tv collegato con antenna, guarda o non guarda la Rai, paga un’imposta (1) che, oltre alla pubblicità, è principale fonte economica.

Quando vediamo/ascoltiamo notiziari, film, show, dibattiti, documentari, è quello che ci viene concesso, grazie ai nostri soldi, dai partiti del Parlamento.
Cosa succede - filtrato dall’esercizio della libera professione di dirigenti/funzionari, giornalisti e tecnici - dovrebbe informarci su quanto accade in Italia e nel mondo.

Il prossimo 12 giugno si andrà a votare su alcuni referendum in materia Giustizia grazie alla richiesta avanzata da un gruppo di Regioni, con la promozione politica di Lega e Partito Radicale. Quest’ultimo, in modo particolare, evidenzia tutti i giorni che la Rai non stia svolgendo il suo servizio di informazione istituzionale e non. Con l’aggravante che il Governo ha fissato la data della consultazione in un solo giorno (non due come abitualmente avviene), 12 giugno, in cui si terranno anche le elezioni amministrative di un limitato numero di Comuni e quando la maggior parte degli italiani (scuole chiuse) penseranno ad altro.

E’ certo che Governo, Parlamento, Rai e partiti che la gestiscono, mirano a far sì che questi referendum siano invalidati, visto che il contrario è possibile solo se si reca a votare il 50%+1 degli aventi diritto.
Niente di nuovo. Il metodo è usuale: quando il regime di partiti ha a che fare con iniziative che potrebbero mettere in discussione il proprio potere, il boicottaggio è l’arma preferita. Avviene in Parlamento quando si discutono o non si discutono le leggi, avviene nella società civile quando i cittadini vengono chiamati ad esprimere, con referendum, le proprie “correzioni” all’attività istituzionale.
Negli ultimi decenni, il cimitero dei referendum che non hanno raggiunto il quorum di validità è uno dei più affollati; e sta bene al regime, visto che tutte le proposte per una modifica delle norme referendarie (soprattutto quorum partecipazione -2) sono boicottate. Con l’aggiunta del supporto della Corte Costituzionale che, come ha fatto con le richieste su depenalizzazione cannabis ed eutanasia nonché su uno dei più importati quesiti del “pacchetto giustizia” (responsabilità civile dei magistrati), si è inventata l’impossibile per disporre che non siano conformi alla legge.

Per quanto riguarda la Rai, quindi, c’è poco da stupirsi. E’ sintomatico che le denunce di boicottaggio non riguardino il Tg2, canale in quota al partito Lega e che, di conseguenza fa il suo dovere di regime.
Il problema è alla base della Rai. Gli italiani, nel 1995, con un referendum valido (ma guarda un po’…) chiesero che la Rai fosse privatizzata e la gestione dei servizi fosse affidata ad una gara di appalto. Stiamo ancora aspettando.

La Rai è uno degli anelli deboli della nostra democrazia incompiuta. Un macigno sulla strada della liberalizzazione dell’informazione (con canone e pubblicità compete con altre emittenti che hanno solo pubblicità). Oggi conferma il proprio ruolo di regime coi referendum, domani non si può pensare altrimenti.


1 – Qui il canale web di Aduc in materia
2 - che non si capisce (si fa per dire...) perché ci debba essere, visto che non esiste quorum per tutti gli altri tipi di consultazioni elettorali.
 
 
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