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Minibot e miniassegni. Un po’ di memoria forse fa bene per capire meglio il presente e agire di conseguenza
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Articolo di Vincenzo Donvito
12 giugno 2019 12:03
 
 Correvano gli anni ‘70 del secolo scorso, verso la metà, farsi dare un resto in monete era un’impresa, c’era carenza di metalli e la Zecca di Stato non provvedeva. Oltre a resti con gettoni telefonici, francobolli, caramelle e cioccolatini, grazie all’Istituto Bancario San Paolo di Torino, su pressione dell’Associazione dei Commercianti, comparvero sul mercato degli assegni circolari di dimensione ridotta, che per questo furono chiamati miniassegni, con tanto di intestatario e girata, del valore di 50, 100, 150, 200, 250, 300, 350 lire. Visto il rapido successo incontrato grazie al sollievo dei consumatori, quasi tutte le banche emisero i loro titoli: oggi si calcola che furono oltre 30 gli istituti bancari emittenti e che circolarono quasi mille tipologie diverse di miniassegni per un valore di molte centinaia di miliardi di lire. Ma non solo banche. Anche supermercati, come Upim e La Rinascente, emisero dei buoni merce; e poi le autostrade di Venezia, l’Ente Turismo di Genova, lo stabilimento alimentare Star, gli agricoltori di Ferrara … Nel 1978 la Zecca fu di nuovo in grado di coniare moneta ed introdusse sul mercato per la prima volta la moneta da 200 lire. Pare che sia stato di 200 miliardi di lire il valore di questi assegni mai riscossi, molti dei quali, di mano in mano, e di tasca in tasca, si deterioravano facilmente e finivano nella spazzatura anche se con 50 lire (poco meno degli attuali 3 centesimi) ci si comprava un bel gelato. Un buon affare per chi li aveva emessi.

Il pensiero ai miniassegni ci è stato stimolato dai minibot (anch’essi di piccolo taglio), anche se il creditore in questo caso sarebbe unico, lo Stato. C’é a fidarsi? Ufficialmente sì. Ma è bene ricordare, anche in questo caso, che quando c’é stato il passaggio dalla lira all’euro, ad un certo punto il governo Monti decise che se non si cambiavano le lire oltre una certa data (6 dicembre 2011), le stesse erano da considerarsi carta straccia. E così è stato, e non poche cause sono ancora in corso.
E’ bene sapere che in Germania, i possessori dei vecchi marchi, ancora oggi possono cambiare questa valuta in euro, anche se altri Stati hanno fatto come l’Italia (1).
Ma tornando all’Italia, che sarebbe il creditore di questi minibot, se pensiamo al trattamento che i nostri governanti hanno dedicato alla lira, è lecito pensare che tutto possa accadere. Quindi, visto che si tratta di buoni di credito che si possono accettare o meno, che ognuno ci faccia un pensierino… anche se siamo consapevoli che i “ricatti” del tipo “mangia questa minestra o salta dalla finestra” potrebbero essere all’ordine del giorno.

Ma per quale motivo dobbiamo continuare ad infilarci in questi “cul de sac”? A quando il dollaro Usa che sostituirà nella pratica la nostra moneta, così come avviene in molti Paesi disgraziati come, per esempio, oggi il Venezuela? Certo, è una battuta!! E siamo consapevoli che rimarrà una battuta per un solo motivo: ché oggi la nostra valuta si chiama Euro e il suo corso è deciso non solo dall’Italia. Anche di questo, inclusi gli ideatori dei minibot, auspichiamo che se ne faccia tesoro.

1 - https://www.ecb.europa.eu/euro/exchange/html/index.it.html
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