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Droga e corruzione polizia. Mille euro al mese? Un po’ pochini… che vuol dire?
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Comunicato di Vincenzo Donvito
11 luglio 2018 16:01
 
 E’ stato arrestato oggi un poliziotto della Mobile di Milano che, grazie ad un’operazione della Procura di questa città, è stato individuato come fornitore di informazioni ad un gruppo di criminali dediti al narcotraffico: auto civetta, pratiche documenti e anche forza bruta per spedizioni punitive. Sembra un film di altri luoghi, tipo Usa, Brasile, Messico, Filippine… invece no, è Milano, e in uno dei più noti reparti di sicurezza della polizia, la Mobile.
Fin qui ci preoccupiamo e, sempre pensando ai film di cui sopra, ci chiediamo quanti soldi facesse questo signore, e ci immaginiamo qualcosa come nelle famose serie narcos di Netflix, o nella NYPD (New York Policy Department), dove poi ci sono belle macchine, donne facili, vacanze ai vari Tropici, abiti costosi e i classici orologi da polso che solo un burino potrebbe portare.
Ma la vicenda è ancora più drammatica. Il nostro sovrintendente della Mobile meneghina prendeva mille euro al mese. Sì, proprio e solo 1.000 euro. Ogni tanto gli scattava qualche benefit, ma lo “stipendio base” era di quella portata. Va bene che è noto che i poliziotti prendono pochi soldi (e le loro richieste sindacali in merito ci sembrano dovute), ma correre il rischio che poi è diventata realtà per un importo del genere, vuol dire qualcosa in più: il mercato in merito è sfilacciato. La logica è quella di ogni economia dove al primo posto c’e’ la domanda e l’offerta. Nel nostro caso vuol dire che l’offerta (poliziotti disonesti) era talmente alta che la domanda (bande narcos) si poteva permettere di offrire remunerazioni così basse. Va bene che stiamo parlando di un fisso (con quali garanzie?) e non di una tantum per qualche operazione particolarmente lucrosa, ma sono sempre e solo MILLE euro. Quanti poliziotti, quindi, saranno in fila davanti alle poltrone dorate dei narcos? Non e’, la nostra, una domanda provocatoria, ma purtroppo molto realistica. Che ci rimanda alla situazione di un mercato clandestino delle droghe, controllato dalle grandi bande internazionali criminali (ricordiamo che l’Italia – a partire dalla regione Calabria - è uno dei maggiori hub europei delle droghe sudamericane e afghane), che si può permettere tutto e di più, agendo in un contesto socio-economico sfilacciato e facilmente abbordabile per trovare tutte le impunità possibili ed immaginabili. Non siamo certo a situazioni tipo Messico, ma considerare quanto accaduto oggi come un importante campanello d’allarme, ci sembra da prendere in considerazione. Ma per fare cosa? Quello che alcuni giorni fa in materia ha promesso il neo-ministro dell’Interno con maggiore repressione… come se i ministri precedenti non facessero altrettanto e non ci siamo poi ritrovati nell’attuale situazione del sovrintendente milanese? No. Un campanello d’allarme che ci dovrebbe/potrebbe portare ad un cambio di politica a 360 gradi, pur mantenendo alta la vigilanza e la repressione nei confronti della malavita internazionale e non solo, anche perché, pur cambiando politiche, queste non sono situazioni che si risolvono/capovolgono dal mattino alla sera e, soprattutto, non si risolvono a livello nazionale (le modifiche ai trattati internazionali in materia di droghe sono la base di partenza). Questo cambio a nostro avviso significa legalizzazione delle droghe oggi illegali, cioé levare le basi di azione e proliferazione ad una struttura economica criminale che si è modellata e consolidata in virtù dell’esistenza del binomio proibizionismo/repressione. Stiamo parlando di tendenza e di politiche condivise che devono essere affrontate e decise. Quando scoperto oggi a Milano ci dovrebbe metter fretta.
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