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La crisi dei fondi comuni d'investimento
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Editoriale di Alessandro Pedone
27 febbraio 2008 0:00
 
Chi segue questo sito da tempo sa che non siamo mai stati teneri ed accomodanti con Consob e Banca d'Italia, ma questa volta dobbiamo dire che l'approccio che stanno avendo sul tema della crisi dei fondi comuni d'investimento italiani ci convince.
E' ovvio che saremmo piu' felici se le authority avessero un piglio piu' decisionista e radicale, ma non possiamo ragionevolmente pretendere che il Governatore della Banca d'Italia modifichi radicalmente le norme senza prima aver creato il necessario clima all'interno del mondo bancario. Sarebbe bello se lo facesse, ma semplicemente non puo' farlo.
Sul tema dei fondi comuni d'investimento, Draghi puo' essere accusato di essere, forse, un po' "lento", ma sta dimostrando una notevole tenacia.
Fin dai primi giorni del suo insediamento in Banca d'Italia ha detto chiaro e tondo che i fondi comuni erano inefficienti ed ha chiaramente identificato le ragioni ed i rimedi di tale inefficienza. Ci sono, e' vero, ragioni fiscali che penalizzano i fondi comuni italiani rispetto ai fondi esteri, ma Draghi ha detto chiaramente che il problema principale sono i costi a carico dei fondi ed il sostanziale oligopolio delle banche le quali controllano al tempo stesso i fondi e la rete di distribuzione.
Draghi ha insistito e sta insistendo, anche nella riunione del 26 febbraio convocata da lui e con la presenza della Consob e dei gestori, affinche' sia il sistema bancario stesso a porre rimedio a questi problemi.
Inizialmente, diciamo francamente, non e' stato preso sul serio. Le banche hanno fatto sorrisi e spallucce. Draghi allora, formalmente e informalmente, privatamente e pubblicamente, ha fatto capire che lui non mollava per niente la presa e che se le banche non avessero risolto il problema da sole avrebbe provveduto lui.
"Vuoi vedere che questo fa sul serio?" ha cominciato a pensare qualcuno.
Nella gia' citata riunione, la Consob avrebbe proposto un'idea veramente rivoluzionaria e radicale ovvero quello di apportare le modifiche regolamentari necessarie affinche' i fondi comuni possano essere quotati in borsa in maniera simile a quello che oggi accade per gli ETF.
Le banche, ovviamente, non l'hanno presa bene.
Se i fondi potessero essere acquistati come un semplice titolo azionario si scatenerebbe una reale competizione che non piace affatto ad un sistema oligopolistico come la cosi' detta industria del risparmio gestito in Italia.
L'idea di poter acquistare i fondi comuni d'investimento di qualunque intermediario presso qualunque intermediario e' una delle proposte centrali che questo sito porta avanti fin dalla sua nascita.
Oggi i gestori hanno pochissimo interesse a fare prodotti buoni ed innovativi poiche' il successo commerciale di un fondo comune d'investimento non e' legato alla qualita' del prodotto, ma alla forza dalla rete distributiva. In altre parole i risparmiatori sottoscrivono quello che gli propone la banca. Se i fondi oggi sono in crisi e' anche (forse principalmente) perche' le banche preferiscono vendere prodotti per loro piu' redditizi (come polizze e strutturati vari).
Temiamo che la proposta della Consob resti lettera morta e che sia stata formulata piu' in chiave persuasiva che seriamente.
Vedremo, per il momento pero' non possiamo esimerci dal dirci piacevolmente sorpresi dall'atteggiamento delle due authority.
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