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Perché abbiamo un elevato rapporto Debito/PIL e come risolvere il problema?
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Editoriale di Alessandro Pedone
18 dicembre 2013 16:19
 
Pochi minuti fa ho ascoltato il Presidente del Consiglio Letta parlare alla conferenza degli ambasciatori d'Italia ed ha detto la solita frase “acchiappa citrulli” che sembra talmente vera ed evidente da non necessitare di alcuna spiegazione. Parlando della necessità di tenere i conti pubblici in ordine, Letta ha retoricamente detto che non capisce perché quando si tratta di tenere i conti in ordine di una famiglia allora sono tutti d'accordo, ma quando si tratta di tenere i conti in ordine di uno Stato allora non sono più tutti così d'accordo. In questo discorso Letta sosteneva che la necessità di avere più crescita deve coesistere con la necessità di diminuire il debito pubblico, sottintendendo le politiche di austerity.
Questo ragionamento appare così lineare, così evidente, che sembra non si possa mettere in discussione. Il fatto è, però, che i conti di uno Stato non sono per niente assimilabili a quelli di una famiglia. Chiunque conosca in modo non superficiale la macroeconomia capisce che questo ragionamento di Letta è completamente sbagliato. Non ho alcun dubbio che Letta stesso sia del tutto consapevole della totale fallacia della sua argomentazione e che l'abbia utilizzata solo per convenienza.
Qual è la differenza fra i conti pubblici ed i conti di una famiglia?
Una famiglia che si indebita, lo fa nei confronti di una entità esterna alla famiglia stessa. Vi è una separazione fra la famiglia e coloro con i quali ha contratto il debito. La capacità della famiglia di rimborsare o meno il debito non è influenzata dal debito stesso. Queste cose non valgono (o non completamente) per i conti di uno Stato. I conti pubblici sono i conti aggregati di tutti noi e ciò che è debito per una parte è credito per l'altra. La spesa di uno Stato è reddito di una parte dei cittadini. Ciò che è debito per lo Stato è risparmio garantito per un'altra parte. Ridurre drasticamente le spese dello Stato significa ridurre il PIL ed aumentare il rapporto Debito/PIL.
L'analisi dei riflessi dei conti pubblici è molto più articolata rispetto a quella dei conti di una famiglia.
 
Continuando il suo discorso, Letta ha detto che tenere in ordine i conti pubblici è fondamentale per tenere i tassi d'interesse bassi. E qui veniamo al tema centrale: l'austerity è il modo corretto per tenere i tassi d'interesse bassi?
Il 27 settembre scorso abbiamo pubblicato un articolo, Il debito pubblico italiano (come non ve lo ha mai raccontato nessuno),  che dimostrava come sia possibile, se vi fosse la volontà politica, diminuire il debito pubblico senza politiche di austerity.
In quell'articolo si spiegava con riferimenti precisi che il debito pubblico italiano non è causato dalle spese eccessive bensì – essenzialmente – dal costo per gli interessi sul debito. La soluzione proposta era la seguente.
 
Si dovrebbe stabilire una regola, ovviamente modificando i trattati istitutivi della BCE, in base alla quale le singole banche centrali nazionali possano detenere fino ad un massimo del 60% del PIL di debito pubblico e che possono acquistarlo anche in emissione (nel così detto mercato primario) a condizione che gli ultimi tre bilanci, compreso il previsionale, presentino un avanzo primario (cioè minori uscite rispetto alle entrate ad eccezione di quelle per interessi).
Si noti bene che questa regola non incentiverebbe il così detto “azzardo morale” molto temuto dai tedeschi. Lo Stato non potrebbe "spendere allegramente perché tanto c'è la banca centrale che compra il debito" poiché la banca centrale potrebbe farlo solo se le spese sono inferiori alle entrate, salvo per interessi.
Con questa semplice regola l'Italia potrebbe emettere una serie di obbligazioni a lungo termine con un tasso estremamente basso (ad esempio l'1%) e la Banca d'Italia potrebbe acquistarli (il sistema delle Banche Centrali non ha problemi di soldi perché li crea).
Con i soldi della Banca d'Italia lo Stato ricompra il debito pubblico e lo annulla (attualmente, il tasso sul debito pubblico oscilla, mediamente, tra il 4,5%-5%). Il debito complessivo, quindi, non cambia, ma il costo per interessi si riduce drasticamente.
La riduzione dei costi per interessi, per altro, rende ancora più sostenibile il debito pubblico e giustifica la riduzione del tasso d'interesse in un circolo virtuoso.
Ovviamente questo processo dovrebbe essere graduale, in più anni, non si può sostituire tutto il debito pubblico di colpo per molte ragioni che non è il caso in questa sede di illustrare.
Nell'arco di 5 anni il costo per interessi può essere portato, in questo modo a circa 40 miliardi, se non meno. Ciò significa che l'Italia si troverebbe, a parità di tassazione, con un disavanzo di circa 30 miliardi metà del quale potrebbe essere utilizzato per abbattere il debito pubblico e metà per ridurre le tasse. Con 15 miliardi di riduzione strutturale delle tasse si potrebbe ridurre significativamente il cuneo fiscale (cioè la differenza fra il costo del lavoro ed i soldi che vanno in tasca ai lavoratori) aumentando significativamente la competitività. Il solo annuncio di un programma del genere ridurrebbe lo spread di almeno 100 punti e la sua realizzazione tenderebbe a riportarlo ai livelli precedenti allo scoppio della crisi del debito. La diminuzione dei rendimenti dei titoli di Stato porterebbe grandissimi vantaggi all'economia. In primo luogo genererebbe enormi plusvalenze dei bilanci delle banche italiane piene di titoli di Stato. Renderebbe molto meno costoso per le banche finanziarsi e quindi renderebbe l'accesso al credito più facile ed economico
 
Il 13 dicembre scorso è stato pubblicato sul prestigioso sito Vox un articolo del prof. Nicholas Crafts (economista e storico dell'economia), The Eurozone: If only it were the 1930s, che dimostra come l'elemento fondamentale per la riduzione del debito pubblico sia il controllo della banca centrale in modo da imporre dei tassi d'interesse più bassi della somma fra inflazione e tasso di crescita dell'economia.
Il debito pubblico della Gran Bretagna crolla dal 199,5% del PIL nel 1950 al 64,7% del PIL nel 1970. Questo ventennio non è certo di riduzione dei costi dello Stato poiché vede l'introduzione dello Stato sociale e le nazionalizzazioni.
La Gran Bretagna, però, riesce a ridurre in maniera così consistente il rapporto Debito/PIL perché aumenta significativamente il PIL ma, soprattutto, il costo del suo debito pubblico è decisamente inferiore alla somma dell'inflazione e del tasso di crescita del PIL e questo grazie al ruolo che la Banca Centrale inglese ha nella determinazione di questo tasso.
 
Questo è esattamente ciò di cui oggi l'Europa (ed in particolare l'Italia) ha bisogno ed è quello che possiamo fare se solo vi fosse la volontà politica. 
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