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Vecchiaia
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Articolo di Annapaola Laldi
15 gennaio 2018 13:32
 
La vecchiaia è la vecchiaia.
Non è la “Terza età”, come specialmente qui in Italia si ama dire – ma intanto ci hanno aggiunto anche la “Quarta età”, quando i pezzi che si perdono cominciano a essere davvero parecchi.
E io non ho mai capito perché qui da noi ci sia questa difficoltà a pronunciare la parola vecchiaia. Difficoltà che si manifestò già nel 1971, allorché Einaudi pubblicò la traduzione del ponderoso saggio di Simone de Beauvoir, uscito in Francia nel marzo 1970 col titolo semplice e diretto di La vieillesse. Che però Einaudi cambiò in La terza età.
Certamente, entrare e incamminarsi nella vecchiaia non è cosa da poco. Si assiste a un continuo rimodellamento della struttura e dell’aspetto fisico, col suo corteggio di “acciacchi” che ci sono, al di là del fatto che una persona dimostri o meno gli anni che ha. E anche il rapporto con la realtà circostante cambia – e con il vissuto di prima e quello di adesso.
E’ quindi naturale che chi si trova a vivere questa parte della vita si interroghi sul suo significato, come, forse, mai gli era successo per gli altri segmenti della vita, perché è anche giusto non arrendersi alla mera prospettiva dell’inutilità dell’esistenza – della nostra esistenza, in particolare – e alla prospettiva della tomba come unico traguardo. Anche per chi crede in una vita ultraterrena, l’idea di doversene andare di qui è abbastanza, diciamo, seccante – almeno finché la qualità della vita resta a un livello accettabile.
Insomma, la ricerca di un senso della vita continua per chi l’ha già intrapresa, o, paradossalmente, può cominciare proprio ora – e con esiti a volte davvero di magica sorpresa.
 
E’in questa ottica che propongo di seguito una poesia dello scrittore e poeta tedesco Hermann Hesse (1877-1962). Si intitola Gradini (in tedesco: Stufen).
 

Come ogni fior languisce e 
giovinezza cede a vecchiaia,
anche la vita in tutti i gradi suoi fiorisce,
insieme ad ogni senno e virtù, né può durare eterna.
Quando la vita chiama, il cuore 
sia pronto a partire ed a ricominciare,
per offrirsi sereno e valoroso ad altri, nuovi vincoli e legami.
Ogni inizio contiene una magia 
che ci protegge e a vivere ci aiuta.
Dobbiamo attraversare spazi e spazi,
senza fermare in alcun d'essi il piede,
lo spirto universal non vuol legarci,
ma su di grado in grado sollevarci.
Appena ci avvezziamo ad una sede
rischiamo d'infiacchire nell'ignavia:
sol chi e' disposto a muoversi e partire
vince la consuetudine inceppante.
Forse il momento stesso della morte 
ci farà andare incontro a nuovi spazi:
della vita il richiamo non ha fine....
Su, cuore mio, congedati e guarisci!

 
 
Qui la poesia recitata in italiano.
Il testo in tedesco si trova qui  (dove si può anche ascoltare la sua lettura fatta dallo stesso Hermann Hesse)..  
 
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