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MA CHE C'ENTRA L'ABORTO CON I SUSSIDI ALLA MATERNITA'?
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Editoriale 
15 marzo 2001 0:00
 
In questi ultimi tempi, si leggono e si sentono dichiarazioni sulla legge 194 (quella che permette di abortire nelle strutture pubbliche), sulla famiglia e sull'opportunita' che lo Stato sia piu' vicino, anche economicamente, a quelle donne che decidono di avere un figlio.
Solitamente queste dichiarazioni sulla necessita' di rivedere la legge 194 vengono rilasciate a testate giornalistiche di tradizione cattolica. La scena, che si e' ripetuta identica per i due leader degli schieramenti maggiori che si presentano alle elezioni, e' stata poi la precisazione: la legge e' giusto che ci sia, ma va migliorata per quelle donne che decidono di non abortire.

Come fare ad essere contrari all'ipotesi che se una donna e' in difficolta' a portare a termine una gravidanza, lo Stato deve essere pronto a cercare di spianare quelle difficolta'?
Ma allora che cosa c'entra la legge 194? Effettivamente la legge c'entra perche' ipocritamente e' stata chiamata "Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza". Cioe' si sono volute unire due cose completamente diverse come la maternita' e l'aborto. Questo era successo nel 1978, speravamo che oggi nel 2001 qualcosa fosse cambiato.
In 23 anni di applicazione della 194 gli aborti sono calati (come i dati Istat ci sottolineano ogni anno), ma cio' non toglie che molti aspetti della legge sarebbero da aggiornare.
Invece sentiamo levarsi voci solo di due tipi "la legge non si tocca", "la legge va migliorata per le donne che non vogliono abortire". Ci piacerebbe sentire anche "la legge va migliorata per le donne che decidono di abortire".
E' legittimo pensare anche a chi dopo avere analizzato tutte le possibilita' che ha di fronte, decide di ricorrere all'aborto?
Ricordiamo alcuni dettagli che non ci vengono detti, perche' e' piu' facile parlare della maternita' che dell'aborto. Solo per l'anno 1998 138.354 donne hanno fatto ricorso all'IVG (Interruzione Volontaria di Gravidanza), mentre nel 1983 le donne che avevano abortito erano 231.061. Nel calo generico di accesso a questa pratica solo le ragazze, tra i 15 e i 19 anni, sono passate da un tasso di abortività del 4,5 per 1.000 dei primi anni '90, al 6,6 per 1.000 del 1998. Questi dati, forse, dovrebbero interessare anche chi si candida a governare il Paese. Queste donne le incontriamo tutti giorni, non lo sappiamo, ma forse anche la signora del pianerottolo di fronte, o sua figlia, si e' trovata in questa situazione. Non lo sappiamo perche' la questione e' cosi' delicata e dolorosa per una donna, che e' difficile che ne parli come di un'operazione di appendicite. Queste donne ci sono e sarebbe bene cercare di rendere il fatto in se' meno doloroso fisicamente, di quello che psicologicamente comunque rimane.
Per abortire in Italia devi trovare un medico che non sia obbiettore (e ci sono zone dove e' molto difficile), questo medico deve firmare un certificato dove si attesta che "il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute". Questa formula nella maggior parte dei casi altro non e' che un attestato di follia, o di rischio di follia, ma una volta ottenuto lo si puo' presentare negli ospedali pubblici per fissare la data dell'operazione. Anche negli ospedali puo' succedere che ci siano degli obiettori. L'anno passato e' successo nella provincia di Treviso: una donna si e' presentata nel giorno sbagliato, quando non era disponibile l'unico medico non obiettore, e praticamente e' stata fatta abortire inducendo un parto spontaneo senza alcuna assistenza medica e infermieristica (perche' anche gli infermieri erano obiettori). Spesso i reparti ospedalieri sono quelli della maternita', sicuramente i piu' gioiosi, ma altrettanto sicuramente i meno indicati per una donna che ha deciso di non portare avanti la gravidanza. L'operazione viene praticata sotto anestesia totale, nonostante non ce ne sia necessita' (basterebbe quella locale) con tutti i rischi e le complicazioni che ne possono conseguire.
L'unica domanda legittima che i nostri legislatori, o candidati al governo, potrebbero porsi riguardo all'aborto e' questa: c'e' un modo per rendere meno dolorosa questa pratica? Ci sono delle strade per evitare l'aborto?
Queste domande dovrebbero porsele dal punto di vista della donna che non vuole o non puo' avere un figlio in quel momento della sua vita. Questo e' parlare della legge sull'aborto. Parlare di sostegni alla maternita' e' parlare della maternita', che e' altra cosa rispetto all'aborto.
E allora ci sono dei metodi per evitare gravidanze non desiderate? Ci sono moltissimi metodi anticoncezionali, ma perche' a scuola non se ne parla? C'e' la pillola del giorno dopo, finalmente introdotta anche in Italia, ma perche' vincolarla alla ricetta medica, quando in Paesi come la Francia o l'Inghilterra vengono tenute a disposizione nell'infermeria della scuola?
Ci sono altri metodi piu' moderni per interrompere una gravidanza che non sia l'aborto chirurgico con i costi -economici per lo Stato e psicologici e fisici per la donna- dell'ospedalizzazione? Si', c'e' l'aborto farmacologico con la pillola Ru486, adottata in tutta Europa tranne che in Italia, sulla quale viene fatta grande confusione confondendola con quella anticoncezionale del giorno dopo (su questo abbiamo da oltre un anno un settore di approfondimento sul nostro sito, con anche una petizione al ministero della Sanita' per la sua introduzione: http://www.aduc.it/RU486/RU486.html)
E se vogliamo ancora parlare della legge sull'aborto, perche' solo la sanita' pubblica deve gestire quest'operazione, perche' e' consentito solo l'aborto di Stato? Perche' la donna deve essere sottoposta a questa via crucis dell'attestato di follia?
Perche' non sono queste le riflessioni sulla legge 194?
La campagna elettorale e' solo agli inizi, ci permettiamo di rivolgere ai contendenti in gara un unico appello, se volete parlare di aborto non confondetelo con la maternita'.
(Donatella Poretti)
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