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Le banche non sono più “timorate di Dio”…
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Editoriale di Alessandro Pedone
22 maggio 2018 11:35
 
In una passata epoca storica, di cui oggi probabilmente s’è perso la memoria (il periodo in cui il sistema bancario era ancora prevalentemente pubblico), si diceva che le banche erano “timorate di Dio” riferendosi – con un’ironia un po’ pungente- al ruolo indiretto, ma non secondario, della chiesa nella governance delle banche di allora. Le “banche rosse” come il Monte dei Paschi di Siena erano decisamente l’eccezione. A tutt’oggi la finanza cattolica ricopre ancora un certo ruolo sebbene il turbo capitalismo finanziario, che oggi rappresenta il pensiero dominante, abbia travolto tutto e tutti (sia chiaro, non c’è molto da rimpiangere di quel groviglio clientelare che erano le banche di allora, ma non si può dire neppure che –nel complesso- abbiamo fatto miglioramenti).
Ha destato molto interesse, anche all’estero, la recente presa di posizione dei più alti livelli in Vaticano in tema di economia e finanza. Il 17 Maggio, infatti è stato pubblicato il documento, “Oeconomicae et pecuniariae quaestiones: considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario” della Congregazione per la Dottrina della Fede e del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.
Il vasto documento impressiona per la specificità delle argomentazioni proposte che mostrano una profonda e dettagliata conoscenza della materia.
Accanto a prese di posizioni generiche (“spetta in primo luogo agli operatori competenti e responsabili elaborare nuove forme di economia e finanza, le cui prassi e regole siano rivolte al progresso del bene comune e rispettose della dignità umana”) che non possono che essere condivise un po’ da tutti, si fanno riferimenti molto più puntuali come ad esempio sui derivati finanziari: “per alcune tipologie di derivati (in particolare le cosiddette cartolarizzazioni o securitizations) si è assistito al fatto che a partire dalle strutture originarie, e collegate ad investimenti finanziari individuabili, venivano costruite strutture sempre più complesse (cartolarizzazioni di cartolarizzazioni), in cui è assai difficile - dopo varie di queste transazioni, quasi impossibile - stabilire in modo ragionevole ed equo il loro valore fondamentale. Ciò significa che ogni passaggio, nella compravendita di questi titoli, al di là del volere delle parti, opera di fatto una distorsione del valore effettivo di quel rischio da cui invece lo strumento dovrebbe tutelare. Tutto questo ha quindi favorito il sorgere di bolle speculative, le quali sono state importanti concause della recente crisi finanziaria”. Considerazioni simili, ugualmente puntuali e tecnicamente ineccepibili si fanno sui CDS, sul fixing dei tassi d’interesse, sulla finanza offshore.
La proposta cardine che si può leggere nel documento è la seguente: “Un grande aiuto, allo scopo di evitare crisi sistemiche, sarebbe delineare una chiara definizione e separazione, per gli intermediatori bancari di credito, dell’ambito dell’attività di gestione del credito ordinario e del risparmio da quello destinato all’investimento e al mero business”.
Estremamente pungente e circostanziala la critica della chiesa al mondo della “consulenza finanziaria” legata alle banche (quindi sarebbe più corretto dire al mondo dell’industria del risparmio gestito).
“Sono da segnalare, fra i comportamenti moralmente criticabili nella gestione del risparmio da parte dei consulenti finanziari: una eccessiva movimentazione del portafoglio dei titoli allo scopo prevalente di accrescere i ricavi derivanti dalle commissioni per l’intermediario; un venir meno della debita terzietà nell’offerta di strumenti di risparmio, in regime di comparaggio con alcune banche, quando prodotti di altri meglio si attaglierebbero alle esigenze del cliente; la mancanza di un’adeguata diligenza, o addirittura una negligenza dolosa, da parte dei consulenti, circa la tutela degli interessi relativi al portafoglio dei propri clienti; la concessione di un finanziamento, da parte di un intermediatore bancario, in via subordinata alla contestuale sottoscrizione di altri prodotti finanziari emessi dal medesimo, magari non convenienti al cliente.”
Davanti ad un j’accuse cosi circostanziato, il presidente dell’ANASF, cioè la principale associazione degli agenti di commercio dell’industria del risparmio gestito (i quali, recentemente, si sono fatti chiamare, grazie ad un’abile e costosa attività di lobbying in Parlamento, “Consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede”) non ha trovato niente di meglio che commentare via twitter: “chi è senza peccato, scagli la prima pietra”. C’è bisogno di commentare?  
Silentium est aurum…
 
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