Qualche anno fa era un’impresa, ma oggi potrebbe funzionare. Potrebbe. Perché, o si è in una famiglia di vegetariani oppure può diventare una sofferenza. Non dal punto di vista gastronomico, ché qualcosa, anche nelle famiglie più onnivore, si ricava e non si salta completamente il momento conviviale, ma dal punto di vista culturale.
Quindi, tra un’insalatina concepita come contorno, patate che si spera non siano state cotte nel grasso insieme al maiale, carciofi preferibilmente alla giudia, torte più o meno pasqualine o cardi al forno e dolci “a vagonate”, non si muore di fame.
Ma si rimane con l’amaro in bocca di aver potuto godere solo di una parte, abitualmente marginale, delle capacità culinarie di nonne, zie e sorelle (molti meno quelli declinati al maschile).
Quale migliore occasione, quindi, oltre che parlare dei classici argomenti di famiglie al desco natalizio, per aggiungere anche il disegno di un mondo, a partire da se stessi, in cui per vivere non ci si deve ammazzare e mangiare tra esseri viventi?
Più facile di quanto si possa credere.
Eh, ma vuoi mettere, le tradizioni, le culture, le abitudini e financo l’equilibrio salutistico dei bipedi. E poi l’economia, le industrie, gli allevamenti, le coltivazioni, il lavoro etc etc.
Certo, ci sono, ma non è detto che debbano essere eterni e giusti.
Cominciamo a parlarne al desco natalizio, con serenità.
Argomenti di sensibilità individuale ma anche utilitaristici: siamo sicuri che il Pianeta in cui viviamo possa continuare a reggere il modello dominante? E che non è solo questione di pannelli solari, pale al vento, zone a traffico limitato, riciclaggio dei rifiuti, biciclette al posto di motori a scoppio o elettrici, vestiti usati? Ma anche questione della nostra alimentazione? Cominciamo a dar corpo collettivo alla nostra sensibilità individuale.
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